martedì 21 luglio 2009

Sostenuti dallo Spirito


di Marco Pasinato


Michel e Ghislaine , una coppia affiatata di artisti francesi. Dopo una carriera come insegnanti si sono completamente dedicati all’arte sacra. Li abbiamo intervistati nel loro atelier su una collina di Iffendic in Bretagna.

Una parola sulla vostra attività di arte sacra.
Michel (M.): Sono stato professore di arte plastica. Ora mi occupo di arredamento liturgico. Ho cominciato quando mi è stato chiesto di ristrutturare il presbiterio della parrocchia. Mi dedico anche alla pittura.
Ghislaine (G.): Anch’io sono stata insegnate di un liceo artistico a Parigi. Dopo aver ottenuto il prepensionamento per dedicarmi completamente ai miei tre figli, ho cominciato a seguire dei corsi per apprendere l’arte dell’iconografia.
La vostra esperienza di artisti.
M. : Anzitutto vorrei sottolineare l’importanza di essere una coppia. La nostra preghiera insieme, il nostro percorso di fede, i nostri studi di storia dell’arte, tutto fa da terreno fecondo per poter realizzare le nostre opere. Inoltre ci completiamo e ci sosteniamo a vicenda. Ci sentiamo sostenuti dallo Spirito in ogni fase che ci porta alla realizzazione di un opera: talvolta questo percorso è una lotta interiore, per integrare le diversità, per superare alcune barriere psicologiche, per essere più umili e diventare sempre più docili all’ispirazione.
G.: "Io dipingo come l’uccello canta" (Monet): nello stesso tempo una necessità e una chiamata. Alla sera di una giornata dove ho lavorato molto mi sento felice. Quando incontro delle difficoltà tecniche allora è più dura! Inoltre l’arte delle icone si vive in un clima di preghiera. Così ci sono dei giorni dove è meglio che non dipinga affatto; anche se, grazie a Dio, sono pochi!
La vostra esperienza di artisti "a quattro mani"
M.: È iniziata quando eravamo ancora indifferenti al discorso religioso e non è stato facile: occorre infatti che ciascuno possa trovare il suo spazio e che l’opera prenda forma secondo due personalità differenti. La sintonia di coppia ci ha permesso di trovare un modo di operare che permetta a ciascuno di portare il "suo" contributo alla creazione comune! Poi è arrivata l’esperienza della conversione e per sette anni abbiamo interrotto ogni attività artistica: era necessario che la nostra mente fosse pacificata dalla presenza del Signore e che poco a poco tornasse la Luce nella nostra vita. Accettando la responsabilità di un gruppo di preghiera in parrocchia abbiamo ripreso in mano i pennelli realizzando un’icona per il gruppo: fu un momento particolare, dove la nostre mani sembravano guidate mentre dipingevamo il volto di Cristo!
G.: Confermo che lavorare insieme è un’esperienza bella, ricca e non sempre facile.

L’artista è un tipo "a parte", appartenente a un’élite oppure una persona concreta?
M.: Artista: uomo "a parte": perché no? In quanto persona con una sensibilità oltre la media, che gli permetta di esprimere una sua interpretazione del mondo che lo circonda. Quanto al fatto di essere un’élite: alcuni lo pensano, ma è una trappola dove ci si compiace del proprio"io e si diventa la "caricatura" del vero artista. Mi sembra invece che riconoscendo i propri limiti, restiamo ancorati al concreto evitando uno stile orgoglioso.
G.: La nostra sensibilità ci permette di percepire in modo acuto sia la bellezza che i drammi della vita. A parte questo, siamo persone concrete, inserite nel mondo che esprimiamo il nostro pensiero e non esitiamo a coinvolgerci nella chiesa, nelle associazioni, nella politica, etc.
Giovanni Paolo II scrisse agli artisti: L’arte autentica ha una profonda affinità con la fede.
G.: Ho sempre pensato che l’artista è come una "porta" aperta sul Mistero: deve saper tenere aperta questa porta per sé e per i suoi contemporanei. L’artista credente ha, secondo me, la missione di elevare verso la Bellezza: e non importa se non è "alla moda" o secondo l’aria che tira!
M.: L’opera, quando è ispirata, raggiunge il destinatario in quel fondo comune e intimo dove ci sono le questioni fondamentali sul perché della vita e della nostra relazione con l’Universo. Essa può portare una luce su un aspetto particolare di questo mistero, che rivela a ciascuno il suo posto.

È possibile riprendere il dialogo interrotto tra chiesa e artisti?
G.: Alcuni artisti che lavorano per la chiesa oggi, cedono alla tentazione di fare ad ogni costo dell’arte alla moda e purtroppo sfigurano il Bello, offrendo ai fedeli un’arte totalmente disumanizzata. Mi lascia perplessa anche la scelta di certe commissioni d’arte sacra, che non segue un vero discernimento. Credo che gli artisti che lavorano per la chiesa debbano coltivare una fede profonda o, per lo meno, una sincera ricerca spirituale.

Siete d’accordo che "la bellezza salverà il mondo"?
M.: Come insegna la parabola dei talenti, noi artisti dobbiamo chiederci come far fruttificare il grande dono che abbiamo ricevuto. Recito sempre questa preghiera: "Tu, Maestro divino di tutto ciò che esiste, rischiara e dirigi l’anima, il cuore e lo spirito del tuo servo, guida le sue mani, affinché possa rappresentare degnamente e perfettamente la tua immagine, quella di tua Madre e di tutti i santi, per la gloria, la gioia e la bellezza della tua santa Chiesa".
G.: Una signora presente a una nostra esposizione mi diceva: "Mi sento talmente bene qui; è l’ottava volta che ritorno!" Nel mio piccolo, cerco di portare un messaggio di speranza e di bellezza. Il mondo non è solo dramma e brutture. Bisogna scoprire la Bellezza che è in noi, attorno a noi, negli avvenimenti, nella creazione e … saper rendere grazie!

Per finire "in bellezza" quale messaggio ai lettori?
Auguriamo che ciascuno possa scoprire la Bellezza in ciò che lo circonda, ottenendo dal Signore uno sguardo di fanciullo che mette in ogni cosa la gioia semplice dello stupore.

Il cielo sopra il Malawi


di Sanino Epis


Spostandosi con una grossa macchina per le strade dissestate del Malawi, si alzano nubi di polvere sulle persone del posto. I loro sguardi al passaggio dell’auto raccontano stupore, gioia, sorrisi. È importante, anzi vitale, capire che a nulla serve osservare, salutare, fotografare o liberarsi di piccoli doni che presto svaniscono. È necessario tendere una mano a queste persone, perché finalmente siedano alla guida della macchina e i loro occhi non siano più annebbiati da nessun tipo di polvere. In Malawi abbiamo scattato foto bellissime: il Cielo si stende veramente anche sopra il Malawi. È il segno della grande provvidente mano di Dio. L’altra mano (perché con due si lavora decisamente meglio) abbiamo cercato di porgerla e dobbiamo tenderla ancora noi. Qui, come in ogni angolo del mondo dove si leva alto l’appello alla solidarietà".
È solo un breve stralcio del diario del viaggio in Malawi che Don Alfredo Maggioni ha messo a disposizione dei visitatori del sito Internet della sua Parrocchia di Cernusco Lombardone. Gli abbiamo chiesto ulteriori notizie su questa esperienza africana vissuta con alcuni suoi parrocchiani.
È raro trovare sacerdoti in cura d’anime in una comunità parrocchiale che trovano il tempo per una esperienza di missione in qualche paese del Terzo Mondo. Come è nata l’idea questa tua esperienza in Malawi e su quali motivazioni?
Verso la fine degli anni ’90, dopo un quindicennio di lavoro con i bambini e i giovani dell’oratorio (esperienza bellissima e benedetta da Dio) sono stato "tentato" da pensieri che mi portavano lontano, fantasie che hanno trovato un’occasione di verifica in un viaggio abbastanza avventuroso nel Borneo, nella regione del Kalimantan. Un viaggio quasi da solo quindi con molto tempo per pensare e una quantità di occasioni e incontri con persone straordinarie, che guardavo vivere, non potendo ascoltarle data la mia cronica incomprensione delle lingue diverse dal brianzolo.
Poi a casa, con nostalgia e la consapevolezza di una vocazione (rafforzata) diversa, così mi è sembrata la volontà di Gesù.
Nello stesso tempo mi sentivo più ricco e costantemente invogliato ad aprirmi a nuove amicizie. Così sono stato in Chapas e in Argentina, sempre a contatto e in piena condivisione della vita dei missionari, sempre accompagnato e sostenuto dall’aiuto e dalla preghiera delle mie comunità parrocchiali.
Ma l’Africa, no. Avevo come un blocco, una vera e propria repulsione. Fino al 2004 quando, costretto dalla necessità, dietro pressione di amici, per assolvere ad una richiesta legata al mio ministero ho casualmente preso contatto con Padre Mario Pacifici, monfortano, e alla fine ci sono andato… in Malawi per scoprirmi sconvolto - nel senso più bello - da persone straordinariamente povere di cose e così tanto ricche di umanità e di serenità. Ho depredato a piene mani, dalla gente e dai missionari, compreso il vescovo Mons. Alessandro Assolari, che poi ho avuto il piacere di ospitare per una celebrazione nella mia parrocchia alla periferia di Milano.
Già lo sapevo per averlo sperimentato, viaggi come quello fanno un gran bene anche alle comunità in Italia, se rese partecipi direttamente dell’effusione della Grazia, perché consentono di vivere un frammento di missione "senza intermediari", come mi è venuto di intitolare il mio ritorno in Malawi l’anno scorso, ancora una volta preceduto e seguito da una forte sensibilizzazione di tutta la mia comunità.
Quali sono stati i momenti forti di questa esperienza? Con quali progetti l’hai realizzata?
Sempre mi sono mosso con l’intenzione di "guardare per raccontare", per rendere partecipe chi è qui e anche per condividere con chi è là quello che abbiamo qui.
Un momento intensissimo – che non dimenticherò mai – del mio ultimo viaggio è stato constatare come alcuni giovani che mi hanno seguito si siano scoperti "arricchiti", loro che erano partiti per "portare aiuti"; consapevoli di avere maturato un debito, invece di avere elargito una cospicua elemosina.
L’ospitalità e la condivisione sono esperienze forti; essere a tavola e vedersi imbandito il cibo e scoprire poi che loro hanno ridotto le loro razioni per darne a te… ti fa uscire con il "groppo" alla gola…
In questi anni ho imparato che il progetto più bello che si possa fare è quello di appoggiare "ciecamente" l’azione del Missionario sul luogo, perché li la vita non è "organizzata e organizzabile" come da noi; a volte si pensa di finanziare una scuola, ma poi la siccità fa mancare la farina, e allora l’urgenza consiglia prima di dar loro da mangiare…
Cosa pensavi di trovare in Malawi progettando il viaggio e cosa di fatto hai scoperto vivendo vari periodi in mezzo alla sua popolazione?
Ad essere onesto pensavo solo che mi sarei trovato male; l’ho detto, l’Africa non mi attirava. Ora sono contento di esserci andato e ritornato e chissà… potrei tornare ancora…ancora… Vale la pena di affrontare le proprie paure, quando tendono a chiuderti dentro il recinto comodo nel quale hai la fortuna di vivere, così tocchi con mano che la nostra bella vita, non è sempre del tutto tale e ha molto da apprendere (o riprendere)…
Ho saputo che nella tua comunità parrocchiale è forte l’interesse per la realtà missionaria. Con quali programmi pastorali tieni vivo questo interesse?
Attualmente sono in una Comunità che è molto sensibile "di suo" al discorso missionario, perché da Cernusco Lombardone sono partiti numerosi giovani e ragazze che sono diventati sacerdoti e religiose "ad gentes". Questo rende il mio compito più facile e c’è come una specie di complicità tra me e la gente… se mai qualche volta si deve discutere vivacemente quale sia il "miglior" missionario… e qui vinco io: il mio! (sono interista, perciò è così…!). alla missione si dedica ogni occasione, non solo il tradizionale mese di ottobre, e si cerca sempre di dare "un volto, uno scopo" per far crescere la sensibilità…
La tua esperienza in presa diretta in terra di missione ha certamente portato benefici nella tua vita di prete impegnato in una parrocchia? Quali e come le hai trasmessi ai tuoi parrocchiani?
Credo di averti già detto qualcosa a questo proposito; posso solo aggiungere che non rinuncerei alle esperienze vissute, anzi se potessi tornare indietro comincerei prima. Oggi per noi il problema più grande sta nel trasmettere queste cose ai giovanissimi, per loro il mondo non ha - per esempio - le grandi distanze che vedevo io e credono di conoscere tutto, o di poterci arrivare con comodo, magari via internet. Ma così si perde il cuore della realtà e il sapore degli incontri…
Perché sarebbe opportuno che i laici della tua comunità avessero la possibilità di fare una esperienza in terra di missione? Cambierebbe qualcosa nella loro vita?
L’incontro con la Missione cambia di sicuro, apre la mente e il cuore e fornisce stimoli per guardare alla vita con occhi diversi. Educa al ringraziamento per i doni ricevuti, richiama ad un utilizzo più intelligente dei beni e fa crescere la sensibilità verso quel tipo di missione che potrebbe presto interessare le nostre periferie e i nostri contesti abitativi.
Ci sono progetti di solidarietà missionaria nel futuro nella tua vita di parroco e in quella della tua parrocchia?
Si, sono tutti orientati a dare appoggio ai missionari nativi e conosciuti: sono molte persone; ma per ora è uno dei settori che non conosce la flessione (brutalmente, non calano le entrate) che interessa tutti gli altri settori della vita comunitaria.
Da qualche tempo ci occupiamo anche dello "star bene" dei nostri missionari, agevolando in tutte le maniere i loro periodi di riposo presso di noi e la possibilità di concedersi anche controlli medici specialistici; una specie di "tagliando" per tenerli in forma…
Un messaggio ai lettori di una rivista missionaria.
L’incontro con Padre Mario e con gli altri Monfortani a Balaka mi ha trasmesso l’immagine di un missionario energico, vivace, anche scontroso al punto giusto; uno che si confronta e che si scontra, che non possiede la verità, ma che la cerca nel dialogo e nella riflessione. Questo comporta una grande fatica: i missionari vanno sostenuti soprattutto con la preghiera e - per non fabbricarsi un proprio "film" sulla loro condizione – vanno visitati in loco, senza disturbarli troppo e senza scendere con assurde attese, quando non addirittura con pretese.

Amare perfettamente


Angelo Cominelli nasce il 1° maggio 1929 a Cerete Basso (Bg). Alle soglie della giovinezza entra alla Scuola Apostolica di Redona, desideroso di seguire un suo fratello più grande, Giacomo, nell’abbracciare la vita monfortana. Nel settembre 1951 inizia l’anno di Noviziato a Castiglione Torinese (To). Durante questa tappa formativa è chiamato ad un discernimento vocazionale. Manifesta di volersi incamminare verso la vita monfortana ma come fratello laico e non più come sacerdote. Avverte forte la distanza tra la grandezza del ministero sacerdotale e la sua «povertà». Alla fine decide di proseguire, riponendo la sua fiducia in Maria. Nella domanda di ammissione ai voti scrive: «Tutto a Lei mi sono dato e spero tutto da una così buona Madre». Emette la prima professione l’8 settembre 1952. Nello Studentato di Loreto compie gli studi filosofici e teologici. In questo periodo manifesta anche il desiderio della «missione ad gentes». E’ ordinato sacerdote nella Basilica della Santa Casa il 1° marzo 1958.
La prima destinazione è Arona (No), per il corso di Pastorale. Nel 1959 è inviato a Ginosa (Ta) per il ministero parrocchiale e per l’insegnamento della religione nella scuola pubblica. Padre Angelo attende con assiduità al sacramento della penitenza e alla direzione spirituale della gioventù. Alcune ragazze da lui guidate scelgono di consacrarsi al Signore tra le Figlie della Sapienza. Nel 1965 i Superiori lo designano per il seminario minore monfortano di Reggio Calabria, con la mansione di economo e di cappellano di una vicina casa di cura. In terra di Calabria padre Angelo trascorrerà tantissima parte della sua vita di monfortano. La Chiesa del Rosario di Reggio Calabria, dal 1967 al 1978, lo vede solerte nel ministero quotidiano della rettoria e in aiuto ad una parrocchia della città. Dal 1975 al 1978 è anche superiore della comunità.
Quando è chiamato ad un servizio pastorale in altri luoghi, padre Angelo avverte difficoltà e disagio. Qualche mese ad Arbizzano (Vr), un breve periodo a Napoli nella parrocchia Santa Maria d’Ogni Bene. Nel 1979 inizia il servizio pastorale nella parrocchia di S. Luigi di Montfort a Roma. Tuttavia sempre manifesta il desiderio di ritornare a Reggio Calabria sia per motivi di salute sia per le possibilità di un ministero più consono alle sue attitudini. Nel 1983 è nuovamente nella città dello Stretto, alla Casa della Madonna e qui rimane sino all’ultima chiamata. P. Angelo si distingue per una attitudine ai lavori pratici e spesso anche umili. Attende all’annuncio del vangelo con una predicazione semplice. Ama la pastorale dei malati. Schivo, riservato ed essenziale nei rapporti, restio a parlare di sé.
Colpito da un ictus cerebrale, dopo pochi giorni muore il 19 dicembre 2008, nell’anno in cui ha celebrato cinquant’anni di sacerdozio. Dopo i funerali a Reggio Calabria viene trasportato al paese d’origine e nel cimitero locale p. Angelo riposa accanto ai genitori e al fratello p. Giacomo.

Io ho un sogno



I have a dream (Ho un sogno) è la frase con cui viene identificato il discorso tenuto da Martin Luther King, un politico, attivista e pastore protestante statunitense, leader dei diritti civili, Premio Nobel per la pace, tenuto il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington al termine di una marcia di protesta per i diritti civili. Quel giorno ha seganto la storia americana ma non solo, ha anche ispirato le azioni di molti che desideravano profondamente cambiare il volto dell’umanità in meglio.
È incredibile come un sogno possa essere così forte e potente da trascinare e indirizzare la volonta e le forze di una persona o di molte persone. Ma è questo il compito dei sogni che qualcuno definisce anche come desideri. Essi ci permettono di vedere adesso, di rendere attuale, qualcosa che ancora non c’è e accrescono dunque il desiderio di vedere realizzato già ora qualcosa che noi desideriamo da tanto. Credo che ognuno di noi potrebbe portare un proprio esempio di quello che un sogno è, chi infatti non ha un desiderio, un sogno nel cassetto?
Anche Padre Luciano Marangon, da anni missionario in Malawi, ha un sogno che ormai ha lasciato il cassetto ed è diventato un programma di vita. Padre Luciano, nello speciale di questo numero, racconta il faticoso cammino, ancora incompiuto di un sogno, del suo sogno di vedere realizzata una stazione televisivia che, nel territorio del Malawi, possa essere strumento di informazione, formazione ed evangelizzazione. LUNTHA è il nome di questo canale televisivo, che in chichewa, la lingua del Malawi, vuoi dire abilità e capacità ma anche sapienza.
La domanda di fondo che nasce nel cuore di che ascolta la testimonianza di Padre Luciano è: riuscirà questo tenace missionario a veder realizzato il suo sogno? Riuscirà a concludere ciò che ha cominciato?
È difficile poter dare una risposta, come credo che anche per Martin Luther King sarebbe stato difficile prevedere gli effetti della sua testimonianza di pace. Ci viene però in aiuto la parola di Dio, la quale ci ricorda come non è tanto importante chi semina nella vigna del Signore e neppure chi raccoglie, la cosa importante è che Dio faccia crescere e maturare i frutti di questa vigna e come questo accade nessuno lo sa.
Al nostro confratello e amico Padre Luciano Marangon, auguriamo di essere veramente strumento nelle mani del Signore che solo può portare a buon fine ogni opera.