di Sanino Epis
Spostandosi con una grossa macchina per le strade dissestate del Malawi, si alzano nubi di polvere sulle persone del posto. I loro sguardi al passaggio dell’auto raccontano stupore, gioia, sorrisi. È importante, anzi vitale, capire che a nulla serve osservare, salutare, fotografare o liberarsi di piccoli doni che presto svaniscono. È necessario tendere una mano a queste persone, perché finalmente siedano alla guida della macchina e i loro occhi non siano più annebbiati da nessun tipo di polvere. In Malawi abbiamo scattato foto bellissime: il Cielo si stende veramente anche sopra il Malawi. È il segno della grande provvidente mano di Dio. L’altra mano (perché con due si lavora decisamente meglio) abbiamo cercato di porgerla e dobbiamo tenderla ancora noi. Qui, come in ogni angolo del mondo dove si leva alto l’appello alla solidarietà".
È solo un breve stralcio del diario del viaggio in Malawi che Don Alfredo Maggioni ha messo a disposizione dei visitatori del sito Internet della sua Parrocchia di Cernusco Lombardone. Gli abbiamo chiesto ulteriori notizie su questa esperienza africana vissuta con alcuni suoi parrocchiani.
È raro trovare sacerdoti in cura d’anime in una comunità parrocchiale che trovano il tempo per una esperienza di missione in qualche paese del Terzo Mondo. Come è nata l’idea questa tua esperienza in Malawi e su quali motivazioni?
Verso la fine degli anni ’90, dopo un quindicennio di lavoro con i bambini e i giovani dell’oratorio (esperienza bellissima e benedetta da Dio) sono stato "tentato" da pensieri che mi portavano lontano, fantasie che hanno trovato un’occasione di verifica in un viaggio abbastanza avventuroso nel Borneo, nella regione del Kalimantan. Un viaggio quasi da solo quindi con molto tempo per pensare e una quantità di occasioni e incontri con persone straordinarie, che guardavo vivere, non potendo ascoltarle data la mia cronica incomprensione delle lingue diverse dal brianzolo.
Poi a casa, con nostalgia e la consapevolezza di una vocazione (rafforzata) diversa, così mi è sembrata la volontà di Gesù.
Nello stesso tempo mi sentivo più ricco e costantemente invogliato ad aprirmi a nuove amicizie. Così sono stato in Chapas e in Argentina, sempre a contatto e in piena condivisione della vita dei missionari, sempre accompagnato e sostenuto dall’aiuto e dalla preghiera delle mie comunità parrocchiali.
Ma l’Africa, no. Avevo come un blocco, una vera e propria repulsione. Fino al 2004 quando, costretto dalla necessità, dietro pressione di amici, per assolvere ad una richiesta legata al mio ministero ho casualmente preso contatto con Padre Mario Pacifici, monfortano, e alla fine ci sono andato… in Malawi per scoprirmi sconvolto - nel senso più bello - da persone straordinariamente povere di cose e così tanto ricche di umanità e di serenità. Ho depredato a piene mani, dalla gente e dai missionari, compreso il vescovo Mons. Alessandro Assolari, che poi ho avuto il piacere di ospitare per una celebrazione nella mia parrocchia alla periferia di Milano.
Già lo sapevo per averlo sperimentato, viaggi come quello fanno un gran bene anche alle comunità in Italia, se rese partecipi direttamente dell’effusione della Grazia, perché consentono di vivere un frammento di missione "senza intermediari", come mi è venuto di intitolare il mio ritorno in Malawi l’anno scorso, ancora una volta preceduto e seguito da una forte sensibilizzazione di tutta la mia comunità.
Quali sono stati i momenti forti di questa esperienza? Con quali progetti l’hai realizzata?
Sempre mi sono mosso con l’intenzione di "guardare per raccontare", per rendere partecipe chi è qui e anche per condividere con chi è là quello che abbiamo qui.
Un momento intensissimo – che non dimenticherò mai – del mio ultimo viaggio è stato constatare come alcuni giovani che mi hanno seguito si siano scoperti "arricchiti", loro che erano partiti per "portare aiuti"; consapevoli di avere maturato un debito, invece di avere elargito una cospicua elemosina.
L’ospitalità e la condivisione sono esperienze forti; essere a tavola e vedersi imbandito il cibo e scoprire poi che loro hanno ridotto le loro razioni per darne a te… ti fa uscire con il "groppo" alla gola…
In questi anni ho imparato che il progetto più bello che si possa fare è quello di appoggiare "ciecamente" l’azione del Missionario sul luogo, perché li la vita non è "organizzata e organizzabile" come da noi; a volte si pensa di finanziare una scuola, ma poi la siccità fa mancare la farina, e allora l’urgenza consiglia prima di dar loro da mangiare…
Cosa pensavi di trovare in Malawi progettando il viaggio e cosa di fatto hai scoperto vivendo vari periodi in mezzo alla sua popolazione?
Ad essere onesto pensavo solo che mi sarei trovato male; l’ho detto, l’Africa non mi attirava. Ora sono contento di esserci andato e ritornato e chissà… potrei tornare ancora…ancora… Vale la pena di affrontare le proprie paure, quando tendono a chiuderti dentro il recinto comodo nel quale hai la fortuna di vivere, così tocchi con mano che la nostra bella vita, non è sempre del tutto tale e ha molto da apprendere (o riprendere)…
Ho saputo che nella tua comunità parrocchiale è forte l’interesse per la realtà missionaria. Con quali programmi pastorali tieni vivo questo interesse?
Attualmente sono in una Comunità che è molto sensibile "di suo" al discorso missionario, perché da Cernusco Lombardone sono partiti numerosi giovani e ragazze che sono diventati sacerdoti e religiose "ad gentes". Questo rende il mio compito più facile e c’è come una specie di complicità tra me e la gente… se mai qualche volta si deve discutere vivacemente quale sia il "miglior" missionario… e qui vinco io: il mio! (sono interista, perciò è così…!). alla missione si dedica ogni occasione, non solo il tradizionale mese di ottobre, e si cerca sempre di dare "un volto, uno scopo" per far crescere la sensibilità…
La tua esperienza in presa diretta in terra di missione ha certamente portato benefici nella tua vita di prete impegnato in una parrocchia? Quali e come le hai trasmessi ai tuoi parrocchiani?
Credo di averti già detto qualcosa a questo proposito; posso solo aggiungere che non rinuncerei alle esperienze vissute, anzi se potessi tornare indietro comincerei prima. Oggi per noi il problema più grande sta nel trasmettere queste cose ai giovanissimi, per loro il mondo non ha - per esempio - le grandi distanze che vedevo io e credono di conoscere tutto, o di poterci arrivare con comodo, magari via internet. Ma così si perde il cuore della realtà e il sapore degli incontri…
Perché sarebbe opportuno che i laici della tua comunità avessero la possibilità di fare una esperienza in terra di missione? Cambierebbe qualcosa nella loro vita?
L’incontro con la Missione cambia di sicuro, apre la mente e il cuore e fornisce stimoli per guardare alla vita con occhi diversi. Educa al ringraziamento per i doni ricevuti, richiama ad un utilizzo più intelligente dei beni e fa crescere la sensibilità verso quel tipo di missione che potrebbe presto interessare le nostre periferie e i nostri contesti abitativi.
Ci sono progetti di solidarietà missionaria nel futuro nella tua vita di parroco e in quella della tua parrocchia?
Si, sono tutti orientati a dare appoggio ai missionari nativi e conosciuti: sono molte persone; ma per ora è uno dei settori che non conosce la flessione (brutalmente, non calano le entrate) che interessa tutti gli altri settori della vita comunitaria.
Da qualche tempo ci occupiamo anche dello "star bene" dei nostri missionari, agevolando in tutte le maniere i loro periodi di riposo presso di noi e la possibilità di concedersi anche controlli medici specialistici; una specie di "tagliando" per tenerli in forma…
Un messaggio ai lettori di una rivista missionaria.
L’incontro con Padre Mario e con gli altri Monfortani a Balaka mi ha trasmesso l’immagine di un missionario energico, vivace, anche scontroso al punto giusto; uno che si confronta e che si scontra, che non possiede la verità, ma che la cerca nel dialogo e nella riflessione. Questo comporta una grande fatica: i missionari vanno sostenuti soprattutto con la preghiera e - per non fabbricarsi un proprio "film" sulla loro condizione – vanno visitati in loco, senza disturbarli troppo e senza scendere con assurde attese, quando non addirittura con pretese.
È solo un breve stralcio del diario del viaggio in Malawi che Don Alfredo Maggioni ha messo a disposizione dei visitatori del sito Internet della sua Parrocchia di Cernusco Lombardone. Gli abbiamo chiesto ulteriori notizie su questa esperienza africana vissuta con alcuni suoi parrocchiani.
È raro trovare sacerdoti in cura d’anime in una comunità parrocchiale che trovano il tempo per una esperienza di missione in qualche paese del Terzo Mondo. Come è nata l’idea questa tua esperienza in Malawi e su quali motivazioni?
Verso la fine degli anni ’90, dopo un quindicennio di lavoro con i bambini e i giovani dell’oratorio (esperienza bellissima e benedetta da Dio) sono stato "tentato" da pensieri che mi portavano lontano, fantasie che hanno trovato un’occasione di verifica in un viaggio abbastanza avventuroso nel Borneo, nella regione del Kalimantan. Un viaggio quasi da solo quindi con molto tempo per pensare e una quantità di occasioni e incontri con persone straordinarie, che guardavo vivere, non potendo ascoltarle data la mia cronica incomprensione delle lingue diverse dal brianzolo.
Poi a casa, con nostalgia e la consapevolezza di una vocazione (rafforzata) diversa, così mi è sembrata la volontà di Gesù.
Nello stesso tempo mi sentivo più ricco e costantemente invogliato ad aprirmi a nuove amicizie. Così sono stato in Chapas e in Argentina, sempre a contatto e in piena condivisione della vita dei missionari, sempre accompagnato e sostenuto dall’aiuto e dalla preghiera delle mie comunità parrocchiali.
Ma l’Africa, no. Avevo come un blocco, una vera e propria repulsione. Fino al 2004 quando, costretto dalla necessità, dietro pressione di amici, per assolvere ad una richiesta legata al mio ministero ho casualmente preso contatto con Padre Mario Pacifici, monfortano, e alla fine ci sono andato… in Malawi per scoprirmi sconvolto - nel senso più bello - da persone straordinariamente povere di cose e così tanto ricche di umanità e di serenità. Ho depredato a piene mani, dalla gente e dai missionari, compreso il vescovo Mons. Alessandro Assolari, che poi ho avuto il piacere di ospitare per una celebrazione nella mia parrocchia alla periferia di Milano.
Già lo sapevo per averlo sperimentato, viaggi come quello fanno un gran bene anche alle comunità in Italia, se rese partecipi direttamente dell’effusione della Grazia, perché consentono di vivere un frammento di missione "senza intermediari", come mi è venuto di intitolare il mio ritorno in Malawi l’anno scorso, ancora una volta preceduto e seguito da una forte sensibilizzazione di tutta la mia comunità.
Quali sono stati i momenti forti di questa esperienza? Con quali progetti l’hai realizzata?
Sempre mi sono mosso con l’intenzione di "guardare per raccontare", per rendere partecipe chi è qui e anche per condividere con chi è là quello che abbiamo qui.
Un momento intensissimo – che non dimenticherò mai – del mio ultimo viaggio è stato constatare come alcuni giovani che mi hanno seguito si siano scoperti "arricchiti", loro che erano partiti per "portare aiuti"; consapevoli di avere maturato un debito, invece di avere elargito una cospicua elemosina.
L’ospitalità e la condivisione sono esperienze forti; essere a tavola e vedersi imbandito il cibo e scoprire poi che loro hanno ridotto le loro razioni per darne a te… ti fa uscire con il "groppo" alla gola…
In questi anni ho imparato che il progetto più bello che si possa fare è quello di appoggiare "ciecamente" l’azione del Missionario sul luogo, perché li la vita non è "organizzata e organizzabile" come da noi; a volte si pensa di finanziare una scuola, ma poi la siccità fa mancare la farina, e allora l’urgenza consiglia prima di dar loro da mangiare…
Cosa pensavi di trovare in Malawi progettando il viaggio e cosa di fatto hai scoperto vivendo vari periodi in mezzo alla sua popolazione?
Ad essere onesto pensavo solo che mi sarei trovato male; l’ho detto, l’Africa non mi attirava. Ora sono contento di esserci andato e ritornato e chissà… potrei tornare ancora…ancora… Vale la pena di affrontare le proprie paure, quando tendono a chiuderti dentro il recinto comodo nel quale hai la fortuna di vivere, così tocchi con mano che la nostra bella vita, non è sempre del tutto tale e ha molto da apprendere (o riprendere)…
Ho saputo che nella tua comunità parrocchiale è forte l’interesse per la realtà missionaria. Con quali programmi pastorali tieni vivo questo interesse?
Attualmente sono in una Comunità che è molto sensibile "di suo" al discorso missionario, perché da Cernusco Lombardone sono partiti numerosi giovani e ragazze che sono diventati sacerdoti e religiose "ad gentes". Questo rende il mio compito più facile e c’è come una specie di complicità tra me e la gente… se mai qualche volta si deve discutere vivacemente quale sia il "miglior" missionario… e qui vinco io: il mio! (sono interista, perciò è così…!). alla missione si dedica ogni occasione, non solo il tradizionale mese di ottobre, e si cerca sempre di dare "un volto, uno scopo" per far crescere la sensibilità…
La tua esperienza in presa diretta in terra di missione ha certamente portato benefici nella tua vita di prete impegnato in una parrocchia? Quali e come le hai trasmessi ai tuoi parrocchiani?
Credo di averti già detto qualcosa a questo proposito; posso solo aggiungere che non rinuncerei alle esperienze vissute, anzi se potessi tornare indietro comincerei prima. Oggi per noi il problema più grande sta nel trasmettere queste cose ai giovanissimi, per loro il mondo non ha - per esempio - le grandi distanze che vedevo io e credono di conoscere tutto, o di poterci arrivare con comodo, magari via internet. Ma così si perde il cuore della realtà e il sapore degli incontri…
Perché sarebbe opportuno che i laici della tua comunità avessero la possibilità di fare una esperienza in terra di missione? Cambierebbe qualcosa nella loro vita?
L’incontro con la Missione cambia di sicuro, apre la mente e il cuore e fornisce stimoli per guardare alla vita con occhi diversi. Educa al ringraziamento per i doni ricevuti, richiama ad un utilizzo più intelligente dei beni e fa crescere la sensibilità verso quel tipo di missione che potrebbe presto interessare le nostre periferie e i nostri contesti abitativi.
Ci sono progetti di solidarietà missionaria nel futuro nella tua vita di parroco e in quella della tua parrocchia?
Si, sono tutti orientati a dare appoggio ai missionari nativi e conosciuti: sono molte persone; ma per ora è uno dei settori che non conosce la flessione (brutalmente, non calano le entrate) che interessa tutti gli altri settori della vita comunitaria.
Da qualche tempo ci occupiamo anche dello "star bene" dei nostri missionari, agevolando in tutte le maniere i loro periodi di riposo presso di noi e la possibilità di concedersi anche controlli medici specialistici; una specie di "tagliando" per tenerli in forma…
Un messaggio ai lettori di una rivista missionaria.
L’incontro con Padre Mario e con gli altri Monfortani a Balaka mi ha trasmesso l’immagine di un missionario energico, vivace, anche scontroso al punto giusto; uno che si confronta e che si scontra, che non possiede la verità, ma che la cerca nel dialogo e nella riflessione. Questo comporta una grande fatica: i missionari vanno sostenuti soprattutto con la preghiera e - per non fabbricarsi un proprio "film" sulla loro condizione – vanno visitati in loco, senza disturbarli troppo e senza scendere con assurde attese, quando non addirittura con pretese.
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