giovedì 8 gennaio 2009

Manca la volontà politica

Siamo da tempo nel terzo millennio e ogni giorno cresce l’esercito di affamati. Le cifre parlano di un miliardo di persone. In appena un biennio si è avuto il maggior aumento di persone affamate, nonostante il mondo diventi più ricco e produca più cibo di quanto ne abbia prodotto nell’ultimo decennio. Tale meccanismo, oltre a sconvolgere il rapporto tra risorse e popolazione, favorisce nello stesso tempo precise discriminazioni sociali e ambientali. I ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, secondo la logica di un capitalismo spietato. Con alcune terribili contraddizioni: se i governi del mondo dirottassero metà della metà delle spese militari verso un progetto comune contro la fame, nel giro di pochi anni tutti gli individui del pianeta avrebbe risolto il problema alimentare. Nella sua oggettiva semplicità, questa considerazione risuona agghiacciante.
Secondo il nuovo Rapporto Fao sullo “Stato dell’insicurezza alimentare nel mondo” (Sofi) che è stato presentato nei mesi scorsi, sono 963 milioni le persone che soffrono la fame, 40 milioni in più dell’anno scorso. Secondo il Rapporto, alla base della crescita incessante delle persone denutrite c’è l’aumento dei prezzi delle materie prime agricole, che ha fatto precipitare nell’insicurezza alimentare milioni di poveri. E, anche se i prezzi delle derrate agricole hanno fatto registrare una piccola inversione di rotta dall’inizio del 2008, per milioni di persone, ha spiegato il vicedirettore generale della Fao e curatore del rapporto Hafez Ghanem, «nei Paesi in via di sviluppo riuscire a mangiare ogni giorno una quantità di cibo sufficiente per poter condurre una vita attiva e sana è ancora un sogno lontano. Se i prezzi più bassi e la stretta creditizia associati alla crisi economica costringeranno gli agricoltori a diminuire le semine - ha avvertito ancora Hafez - l’anno prossimo potrebbe verificarsi un’altra drammatica ondata di prezzi alimentari alti».

La fotografia della Fao

La stragrande maggioranza delle persone sottonutrite (907 milioni), si legge nel rapporto che riporta i dati 2007, vive nei Paesi in via di sviluppo. Di questi, il 65 per cento si concentra in soli 7 Stati: India, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Bangladesh, Indonesia, Pakistan ed Etiopia. Popolazione numerosa e progressi relativamente lenti nella riduzione della fame fanno sì poi che circa due terzi di coloro che soffrono la fame vivano in Asia (583 milioni nel 2007). In compenso però alcuni Stati del Sud-Est asiatico, come la Thailandia e il Vietnam, hanno fatto notevoli passi avanti, mentre Asia del sud e Asia centrale hanno registrato una battuta d’arresto nella riduzione della fame.
Nell’Africa sub-sahariana poi una persona su tre - vale a dire circa 236 milioni nel 2007 - è cronicamente affamata, dato che rappresenta la proporzione più alta di persone sottonutrite sul totale della popolazione. Il grosso di questo aumento si è registrato in un singolo paese, la Repubblica Democratica del Congo, prostrato da un conflitto ormai senza fine: così da 11 milioni, il numero è lievitato a 43 milioni (nel 2003-05) portando la proporzione delle persone sottonutrite dal 29 al 76 per cento del totale. Nell’insieme l’Africa sub-sahariana ha fatto qualche passo avanti nella riduzione di quanti soffrono la fame cronica passando dal 34 per cento del biennio 1995-97 al 30 per cento del biennio 2003-2005. Ghana, Congo, Nigeria, Mozambico e Malawi sono i paesi che hanno registrato la riduzione più marcata.
Passando poi all’America, la regione dell’America latina e dei Caraibi era quella che nel 2007 aveva registrato i maggiori passi avanti nella riduzione della fame prima dell’impennata dei prezzi alimentari, che ha fatto salire il numero delle persone affamate a 51 milioni. I Paesi del Vicino Oriente e del Nord Africa hanno in generale registrato bassi livelli di persone sottonutrite, ma i conflitti (Afghanistan e Iraq) e il rialzo dei prezzi alimentari hanno fatto salire il numero dei sottonutriti dai 15 milioni del biennio 1990-92 a 37 milioni nel 2007.
Alcuni Paesi erano sulla buona strada prima che i prezzi alimentari schizzassero in alto, ma «perfino questi hanno subito delle battute d’arresto - ha detto Ghanem - e parte dei progressi fatti sono stati cancellati a causa dei prezzi alti. La crisi ha principalmente colpito i più poveri, i senza terra e i nuclei familiari con donne capofamiglia».
Manca la volontà politica

Ma la comunità internazionale sembra sorda alle richieste del mondo della cooperazione, dei diritti umani e della società civile. L’ennesima dimostrazione della mancanza di volontà politica nel risolvere realmente il problema arriva dalla recente decisione di stanziare centinaia di milioni di dollari da parte di Stati Uniti e Unione Europea per salvare le banche occidentali, una scelta che dimostra che i fondi ci sono. Eppure negli ultimi anni la comunità internazionale non è riuscita a destinare nessuno dei 25 miliardi di dollari previsti che avrebbero permesso, per esempio, di ridurre di due terzi la mortalità infantile, come previsto dagli Obiettivi del Millennio. Un rapporto dell’organizzazione umanitaria Oxfam pubblicato proprio in occasione della Giornata Mondiale dell’alimentazione, denuncia come multinazionali del cibo stiano facendo grossi guadagni sulle spalle dei più poveri “grazie a politiche agricole inadeguate e a norme commerciali inique”, che contribuiscono ad un “impoverimento dei piccoli agricoltori e ad una situazione di oligopolio inammissibile”. Anche papa Benedetto XVI è intervenuto sul tema. Il pontefice ha puntato il dito contro la speculazione sfrenata che interessa i meccanismi dei prezzi e dei beni di consumo; contro l’assenza di un’amministrazione corretta delle risorse alimentari; e ancora contro gli investimenti crescenti in armamenti. “I mezzi e le risorse di cui il mondo dispone possono procurare cibo sufficiente per soddisfare le necessità di tutti”, ha detto ancora il papa. Allora perché non è possibile evitare che tante persone soffrano?

Daniele Rocchetti

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