venerdì 6 febbraio 2009

Andar per filosofi

Andar per filosofi non può che elevare. È come salire sui monti per vedere più lontano e più in alto. Certo perdura ancora la leggenda sciocca che i filosofi sono frequentatori di nuvole, precipitano nel primo fosso che gli si para davanti ai piedi e fantasticano di problemi astrusi. Da qualche tempo poi i cosiddetti scienziati tentano di gettarli fuori dalle antiche dimore per insediarvisi quali unici signori della ragione. Eppure i filosofi resistono. Sciamano verso convegni e persino festival specifici, addensando platee di giovani uditori. Ascoltate un vero filosofo e ne sarete conquistati! Posso io dimenticare una lectio magistralis di Cornelio Fabro udita nell’aula magna della Pontificia Università Lateranense oltre quarant’anni fa, o un dialogo in cui mi sono trovato gomito a gomito con Salvatore Natoli, a riflettere sul tema dell’inquietudine, nella sede di un’associazione culturale di Bari? Il Corriere della Sera, alleandosi con la Bompiani, ha mandato in edicola i dodici volumi della fortunatissima Storia della Filosofia curata da Giovanni Reale e Dario Antiseri, e due volumi integrativi a cura dello stesso Antiseri e di Silvano Tagliagambe sui filosofi italiani del Novecento e sui filosofi italiani contemporanei. Chi sa “quelque petite chose” di filosofia può ripassare i percorsi di pensiero che adottò e quelli che evitò, e vi si può rispecchiare criticamente sempre pronto a discernere e a imparare.
Come si fa a non verificare con Giovanni Reale la verità dell’asserto di Heidegger che la filosofia con i Greci è nata grande? Si pensi al maggiore dei Presocratici, a quel Parmenide che Platone definiva omericamente “venerando e insieme terribile” e che, ancor oggi, fornisce tanta legna per la combustione speculativa di Emanuele Severino, il pensatore italiano più potente, la cui tesi si pone come una sfida a ogni testa filosofante. E come ignorare i messaggi straordinari di Eraclito che proprio Reale sottolinea? “I confini dell’anima non li potrai mai raggiungere per quanto tu proceda fino in fondo nel cercare le sue strade: così profonda è la sua ragione”: primo riconoscimento dell’infinita profondità della ragione; “Difficile è la lotta contro il desiderio, perché ciò che esso vuole lo compera al prezzo dell’anima”: il tema di fondo del Faust di Goethe; “Se uno non spera, non potrà mai trovare l’insperabile, perché esso è difficile da trovare e impervio”: un insegnamento per curare lo scetticismo e la disperazione dei nostri giorni. E un pensiero di Anassagora che rivela perché si fa filosofia: “Le cose che si vedono sono l’aspetto visibile di quelle che non si vedono”.
Per anni in Italia circolarono un pregiudizio denigratorio nei confronti dalla filosofia italiana e una smania di soggezione nei confronti delle filosofie di più varia importazione. Ora è bello leggere che Massimo Cacciari, insofferente dei “paradigmi vittoriosi”, ha deciso di dedicare la prossima opera alla “linea” italiana che sale da Dante ad Alberti, a Bruno, a Vico, a Leopardi, a Michelstaedter, a Rensi, e di misurarsi con sistemi di pensiero, “nei confronti dei quali avverte la più profonda concordia discors”, in particolare con “la più importante impresa filosofica dopo Heidegger e versus Heidegger” del già ricordato Emanuele Severino.
Consiglio a tutti una cavalcata attraverso le filosofie di venticinque secoli con gli occhi puntati soprattutto alle “stelle fisse” del pensiero, che risentono fatalmente del messaggio cristiano ora precorrendolo, seguendolo e tematizzandolo, ora tralignando da esso e contrastandolo. Come non appassionarsi pedinando Socrate, Platone, Aristotele, Plotino, Agostino, Tommaso, Pascal, Vico, Kierkegaard, Rosmini? Come non accettare il confronto con Hume, Voltaire, Hegel, Marx e ancor più con Nietzsche? Ed egualmente con i filosofi del nostro tempo, sia con “il filosofo-sentinella che ama la chiarezza e la controllabilità e sostiene, come Socrate, di sapere di non sapere”, sia con “il filosofo-oracolare che, di contro, preferisce l’oscurità e si presenta sulla scena come un portatore di verità inscalfibili dal tempo”, come Massimo Baldini distingue.
Andar per filosofi è una ventura alla quale esporsi per praticare la ragione più larga e più alta, come ci insegna Benedetto XVI, che quand’era il grande teologo Joseph Ratzinger partecipava a simposi e convegni, dibattendo con maestri come Bloch e Habermas. Ieri leggevamo fervidamente Capograssi, Sciacca, Del Noce, Cotta, Fabro, Castelli, e non perdevamo di vista Gramsci, Geymonat, Bobbio, Abbagnano e Pareyson. Oggi preferiamo leggere Antiseri, D’Agostino, Melchiorre, Possenti, Reale, Riconda, e non scansiamo Giorello, Vattimo, Viano, Ferraris, passando per Bodei, Pera, Givone, Dorfles, Eco. Alla fine tutti cercano la Verità, sì maiuscola e per i credenti e per i non credenti, perché diversamente non avrebbero scommesso sulla filosofia con tanta severa assiduità le loro ore.
Bisogna pregare che le categorie di tali mirabili teste pensanti, non rinunciando al proprio statuto fondato sulla ragione, sappiano aprirsi all’epifania meta-culturale della fede, o almeno non escludano la nostalgia di una sua luce. E che sorgano anche nuove vocazioni filosofiche, umili nella coscienza del carattere limitato del sapere e dei suoi risultati, e, insieme, strenue nell’esercizio della ragione. Sofia Vanni Rovighi professava correttamente: “Io non ho nessun motivo di abbandonare la mia ragione finché mi serve, di affidarmi a Qualcuno quando io vedo la strada. Accetterò la Rivelazione solo per quelle verità che sono superiori alla forza della mia intelligenza, alle quali la mia ragione non arriva”.

Padre Basilio Gavazzeni

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