di Padre Alberto Valentini
La prima osservazione che si impone a proposito del brano dell’Annunciazione è che si tratta di un testo cristologico: tutto in esso è finalizzato al mistero di Gesù figlio di Davide e Figlio di Dio. Solo in questa luce, c’è spazio per la figura di Maria e per una riflessione su di lei. Per conseguenza quelle letture che insistono unilateralmente sul genere di vocazione, di missione o altro, con riferimento quasi esclusivo alla figura di Maria, non si pongono in una prospettiva felice per la comprensione globale del testo.
1. Il contesto
L’intera pericope è messa attraverso la figura dell’angelo sotto il segno di una missione da parte di Dio e di un ritorno a Lui. La Parola uscita dalla sua bocca non torna indietro senza aver compiuto ciò per cui è stata inviata (cf. Is 55,11). Il punto di riferimento della missione dell’angelo è la Vergine di Nazaret, alla quale è destinato l’annuncio.
L’angelo Gabriele nell’AT è presentato in rapporto al compimento delle promesse messianiche (cf. Dn 9,21-27), che nella pienezza dei tempi si realizzeranno in maniera piena e definitiva. L’annuncio a Maria è presentato in maniera totalmente diversa rispetto al precedente annuncio fatto a Zaccaria: non avviene nel santuario, neppure in Gerusalemme o in Giudea, ma in una terra di confine, semipagana e deprezzata (cf. Gv 7,41.52), nella “Galilea delle genti”, tra un «popolo che camminava nelle tenebre...» (cf. Mt 4,12-16; Is 9,1); non si svolge in un capoluogo o città illustre, ma nell’oscuro villaggio di Nazaret (cf. Gv 1,46), che l’Antico Testamento neppure menziona. L’angelo non appare a un sacerdote anziano e neppure a un uomo, ma a una donna, anzi a una sconosciuta fanciulla, vergine, in condizione di radicale povertà. Il capovolgimento di logica è tipico di Luca, l’evangelista dei poveri, sottolineato con in insistenza ed originalità, come nel cantico della Vergine (cf. 1,48.52-53).
A differenza di Zaccaria nel caso di Maria si mette in luce - insieme con la “laicità femminile” e la marginalità, non solo geografica - la freschezza della condizione verginale, aperta alle misteriose potenzialità dello Spirito (cf. Lc 1,27.35). In lei si manifesta in maniera tipica la povertà della condizione umana e l’esuberante potenza della grazia di Dio. Il ponte che collega le opposte sponde della sua povertà e delle grandi cose operate in lei dal Signore (cf. Lc 1,48-49) , è costituito dal casato davidico - cui appartiene Giuseppe suo sposo (cf. Lc 1,27) - dal quale sorgerà il Messia d’Israele. Tutto poggia, dal punto di vista umano, sulla dinastia di Davide secondo la promessa (cf. Lc 1,32-33; 2 Sam 7,12s.16) ; ma il compimento supererà ampiamente gli annunci messianici e le speranze d’Israele (cf. Lc 1,35).
2. Il saluto dell’angelo
Gabriele si manifesta a Zaccaria come messaggero di liete notizie (1,19): gli annuncia la nascita di un figlio che procurerà gioia e allegrezza a lui e a molti (cf. 1,14). Su tale sfondo, in maniera parallela, la prima parola (Lc 1,28) rivolta alla vergine Maria: “rallegrati!” (chaire), non può essere un semplice saluto, ma un pressante invito alla gioia. Lo stesso messaggio gioioso risuona nell’annuncio ai pastori (2,11), nella lode della schiera celeste (2,13), nelle voci festanti di coloro che hanno «visto e udito» (Lc 2,20). L’esultanza per la salvezza di Cristo pervade l’opera lucana ed esplode nel vangelo dell’infanzia (cf. Lc 1,46s.68; 2,11.13.20).
Il parallelismo più diretto per il nostro testo è da ricercare nell’annunciazione ai pastori, ai quali l’angelo comunica una grande gioia (Lc 2,10). L’oggetto del messaggio, dal quale scaturisce l’incontenibile esultanza per tutto il popolo, è il medesimo dell’annunciazione: la nascita del Messia davidico, di Cristo Signore (cf. Lc 2,11).
La nota gioiosa è suggerita anche dallo sfondo veterotestamentario delle parole rivolte a Maria, che echeggiano gli annunci concernenti la figlia di Sion (Sof 3,14-17; Zc 9,9; Gl 2,21): la figlia di Sion non è più un simbolo o una personificazione del popolo, ma assume il volto concreto della Vergine di Nazaret.
Al saluto gioioso segue l’appellativo “piena di grazia” (kecharitōménē): un nome nuovo, che designa la personalità della Vergine davanti a Dio e di fronte al mondo. È il primo appellativo attribuito alla Vergine, alla luce del quale devono essere intesi e spiegati quelli che seguono. È un verbo raro ma prezioso, derivante da cháris, che indica il favore del re (1Sam 16,22; 2Sam 14,22;16,4; 1Re 11,19; Est 2,17) ed anche l’affetto dell’Amato (Ct 8,10). Il titolo kecharitōménē viene commentato dalle parole seguenti dell’angelo: « ... hai trovato grazia (chárin) davanti a Dio» (v. 30). Si tratta della benevolenza divina in vista della missione da compiere, che incide profondamente sulla persona cui tale benevolenza è destinata.
Il saluto è da intendere secondo il genere letterario degli annunci, come quello rivolto a Gedeone: «Il Signore è con te, eroe valoroso...; va’ con questa tua forza e salva Israele» (Gdc 6,12.14). Il titolo di “piena di grazia” (kecharitōménē) anticipa il contenuto del messaggio e prepara la Vergine alla missione di madre del Messia davidico e Figlio di Dio. «Il Signore è con te», espressione della teologia dell’alleanza, garantisce la presenza e la protezione del Signore, senza la quale la missione risulterebbe del tutto impossibile.
venerdì 6 febbraio 2009
Rallegrati piena di grazia
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Rivista Apostolo di Maria
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