di Padre Abramo Belotti
La prima verità fondamentale ci ha occupato a lungo, con i suoi tre momenti: professione di fede in Cristo Salvatore; sguardo sull’accoglienza perplessa della devozione mariana del tempo, sotto forma di confidenziale lamento; infine una fervida preghiera di provenienza agostiniana, da recitare ogni giorno.
A margine della prima verità.
Nel testo originario la preghiera è in latino. Il Montfort annota: “perché le persone che capiscono il latino la recitino tutti i giorni per domandare l’amore di Gesù che noi cerchiamo per mezzo della divina Maria”. Viene facile ricavare alcune indicazioni interessanti. La prima riguarda gli eventuali destinatari della sua opera. Tra i suoi lettori prevede anche chi sappia di latino: non solo le persone semplici, prive di istruzione. Non teme quindi che il suo scritto cada sotto il giudizio severo dei “dotti”. Ancora più intrigante appare la finalità di questa preghiera. All’inizio scrive: “Per ottenere dalla tua misericordia una vera devozione verso la tua santa Madre e poterla diffondere su tutta la terra, fa che io ti ami ardente-mente...
Dopo la trascrizione della supplica di san Agostino aggiunge di averla proposta “per domandare l’amore di Gesù che noi cerchiamo per mezzo della divina Maria”.
Pare di assistere alla descrizione di un esemplare circolo virtuoso: la vera devozione e la capacità di diffonderla dovunque sono dono della misericordia di Gesù, conseguenza di un amore ardente verso di Lui; e l’amore di Gesù è cercato per mezzo della divina Maria”. Sono due dunque i movimenti: da Gesù a Maria e da Maria a Gesù; movimenti non alternativi, ma complementari. Non sono nemmeno da porsi sullo stesso piano, perché dal primo scaturisce il secondo. Alla base infatti sta l’iniziativa di Dio con il mistero del Verbo Incarnato. La familiarità e una più ricca comprensione del mistero dell’Incarnazione ci conducono a Maria. Ella a sua volta ci guida a condividere i suoi stessi sentimenti verso il Figlio suo.
Apparteniamo a Gesù e Maria
Ho ritenuto utile aggiungere queste brevi annotazioni prima di misurarci con la seconda verità fondamentale che trova questa sintesi sbrigativa nei titoli usati da diversi editori: apparteniamo a Gesù e a Maria come schiavi. Il Montfort vi dedica dieci numero del Trattato dal numero 68 al numero 77 compreso. Risulta evidente la divisione in tre parti. La prima parte è cristologica; la seconda, inglobata nella prima, definisce i termini servo e schiavo; infine la terza parte espone le conseguenze mariane.
Un rilievo preliminare si impone da sé: se la prima verità trova una facile adesione, senza nessuna riserva, la stessa cosa non la si può ripetere per questa seconda verità e per le altre che seguiranno. Man mano che ci si allontana dal nucleo luminoso e solido della prima verità, la penombra avanza ed è richiesta un’analisi più attenta.
La prima parte della seconda verità, quella cristologica, si presenta come una naturale conclusione della precedente. Così la pensa il Montfort: “Da ciò che Gesù Cristo è nei nostri confronti, bisogna concludere con l’Apostolo che noi non apparteniamo più a noi stessi, ma totalmente a Lui, come sue membra e come suoi schiavi...” (VD 68).
“Noi non apparteniamo più a noi stessi, ma totalmente a Lui”: questa è l’affermazione centrale e si fonda esplicitamente sull’apostolo Paolo. La nostra relazione con Gesù Cristo così viene presentata: siamo sue membra, suoi schiavi comprati a caro prezzo, con tutto il suo sangue. Il Montfort attinge ad una tradizione che trova la sua origine nel Nuovo Testamento. Sarà necessario afferrare l’aspetto essenziale e sempre valido per non dar luogo ad equivoci. La medesima operazione del resto è stata compiuta dal Montfort che dedica vari numeri per precisare la portata dei termini schiavo e servo. Lo faremo in seguito. Viene menzionato il battesimo che capovolge la condizione umana: da schiavi del diavolo a schiavi di Cristo.
Operosità necessaria
Il rapporto dei fedeli con Gesù viene ulteriormente illustrato con immagini e simboli ricavati da passi evangelici molto conosciuti: siamo tralci di una vite il cui ceppo è Cristo; un gregge il cui pastore è Cristo; terra fertile nella quale viene gettato il seme. La prima immagine, quella degli “alberi piantati lungo le acque della grazia” attraversa in qualche modo tutta la Bibbia: sta all’inizio del libro dei salmi, viene ripreso dai profeti e trova spazio anche nell’Apocalisse. Ogni impiego aggiunge un proprio tocco.
Il Montfort sottolinea con forza l’obbligo di portare frutti. L’indicazione è implicita anche nel testo evangelico. Qui è evidenziata con forza: gli alberi piantati lungo i corsi d’acqua “devono portare frutto a suo tempo”; i tralci “devono produrre buona uva”; il gregge “deve moltiplicarsi e dare latte”. Nel simbolo della terra fertile rispetta il testo evangelico: costata il dato di fatto e non aggiunge la nota del “dovere produrre”. Nota però che viene ripresa citando altri due passi del vangelo: la maledizione del fico sterile e la condanna del servo inetto che sotterra, invece di far fruttificare, il talento ricevuto. L’operosità viene percepita come un assillo che non ti concede requie. È ansia ossessiva? No, è il dinamismo proprio dell’amore: “creati in Gesù Cristo per le buone opere” dobbiamo servirlo come schiavi d’amore.
Di tutto si potrà rimproverare il Montfort nella proposta della sua devozione mariana; ma non certo di aver favorito uno sterile intimismo.
venerdì 6 febbraio 2009
Siamo di Gesù e di Maria
Etichette:
Rivista Apostolo di Maria
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